Da l’Unità intervista ad Antonio Finocchiaro: “Fondi Pensione, un piano duraturo per aiutare i giovani”

Qui di fondi pensione non parla più nessuno.
Non chiedo di parlare della Covip, ma degli assegni che i giovani riceveranno quando saranno vecchi». Antonio Finocchiaro, presidente dell’Autorità di vigilanza dei fondi, ha appena finito di presentare la relazione annuale, con numeri ancora allarmanti. Le adesioni aumentano, masi fermano al23%dei lavoratori, cioè 5 milioni e 272mila. L’aumento è stato di 377mila unità, ma la  risi si fa sentire con forme subdole. Circa un milione di iscritti non ha versato il contributo, lo stesso hanno fatto molte aziende a corto di liquidità, e ancora in troppi restano fuori da questa rete di protezione. Il presidente non vuole «una bacchetta magica», ma solo un’operazione verità su più fronti. «Bisogna parlare chiaro ai giovani sul loro futuro, e bisogna parlarci chiaro tra noi, gli addetti ai lavori – dichiara –  indacati, aziende, legislatori, governo e autorità devono sedersi intorno a untavolo e farsi due domande. Crediamo ai fondi pensione? Cosa possiamo fare per incrementare le adesioni?». 

Presidente, lei ha annunciato che gli assegni pensionistici caleranno al 60%delle retribuzioni. Quandoarriveremo a quel livello?

«Tra 15 o 20 anni. Chi ha oggi 40 anni è già a rischio, deve pensare a crearsi il secondo pilastro. Tanto più considerando che spesso la vita lavorativa è piena di “buchi” contributivi con i nuovi contratti atipici che si stanno diffondendo».

Ma se oggi un giovane precariohadifficoltà anche a crearsi il primo pilastro, come può pensare al secondo?

«Lei ha ragione: oggi molti guadagnano troppo poco per pensare anche alla vecchiaia. Come se ne esce? Qui entrano in campo fattori esogeni. Senza la crescita dell’economia non si fa nulla. Creare maggiore ricchezza vuol dire incidere sulle forme contrattuali e anche sulle buste paga».

La crisi si è fatta sentire. Aveteproposte per limitare i danni?

«Servono leggi ad hoc. Nel caso delle aziende che non versano  roponiamo che i crediti che i lavoratori vantano siano considerati privilegiato. E anche che i fondi possano intervenire in giudizio a fianco dei lavoratori, i quali spesso si ritrovano da soli a dover affrontare anche le spese legali».

Esistono testi di legge? 

«No. Il fatto è che negli ultimi anni sia le parti sociali che il governo hanno dovuto pensare ad altro: ad affrontare le crisi  aziendali. Il ministero dell’Economia ha pensato alla sostenibilità finanziaria del regimepensionistico, a mio avviso a ragione
altrimenti oggi noi saremmo molto più esposti. A questo punto però, è urgente occuparsi della previdenza complementare. Sacconi ha fatto bene a dedicare l’intera giornata alla previdenza. Il problemasono i giovani: è importante anche un piano di educazione nelle scuole».

È d’accordo con Sacconi sul fatto chei fondi sono troppi e vanno diminuiti? 

«Certamente sì. In Italia ce ne sono 552 tra negoziali, aperti, preesistenti e piani individuali. Sono 180 quelli aziendali. Se complessivamente il numero si dimezzasse già sarebbe un risultato. Gli effetti sarebbero positivi soprattutto per gli iscritti. Con capitali più ampi si potrebbero avere rendimenti migliori, ci sarebbero meno spese generali, la Covip potrebbe fare controlli più frequenti e incisivi».

Chi deve muoversi per primo?
«Serve un’azione corale. Le idee non mancano, fortunatamente. Bisogna fare unpiano di medio-lungo periodo, perché già intorno al 2020 andranno in pensione i primi lavoratori con il sistema completamente contributivo. Per esempio il Tesoro potrebbe emettere titoli a lungo termine con scadenze correlate al pagamento delle pensioni a rischio, con rendimenti più attraenti. Le proposte per fortuna ci sono».

Bianca Di Giovanni

26 maggio 2011 —  L’Unità

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